«Io ti vedo»: recitava il rituale d’amore che i Na’vi, gli abitanti del pianeta Pandora si scambiavano nel film Avatar.
«Io ti vedo»: per sancire un legame (tsahelu) impossibile da sciogliere.
«Io ti vedo»: nel tuo esistere attraverso ciò che i tuoi sensi mi manifestano e vengo a incontrarti nel tuo territorio.

 

Ogni figlio che nasce è un alieno, territorio sconosciuto per i genitori che lo hanno messo al mondo e chiede sin dalla nascita di essere visto e riconosciuto, esplorato nella declinazione dei suoi bisogni evolutivi.

Eric Berne fondatore, dell’Analisi Transazionale, nel suo noto “Ciao!”…E poi?” scriveva negli anni ‘60: “Salutare un’altra persona è diventarne coscienti come fenomeno, esistere per lei ed essere pronti al suo esistere per noi.”

Ben lontano dalla visione freudiana di un bambino concepito come perverso polimorfo, animato da pulsioni libidiche, Eric Berne, sulla scorta degli studi di Spitz ed altri, ha parlato della fame di carezze e di riconoscimento come principale motivazione umana.

I più recenti studi dell’Infant reaserch convergono oggi nel concepire il bambino come competente nell’interazione con la mamma o care giver, soggetto attivo che influisce all’interno di una comunicazione circolare, secondo cui ogni micro-comportamento è causato e causativo.

Ciò viene mostrato chiaramente nell’esperimento “Still Face” messo in atto dal Dr. E. Tronik dell’università di Harvard. In tale esperimento si osserva come la non sintonizzazione cognitiva, emotiva e comportamentale della mamma, il cui volto rimane paralizzato per alcuni secondi di fronte al suo bambino, provoca in lui sentimenti di paura da separazione, rabbia di protesta, tristezza della perdita. Se protratto e ripetuto, un comportamento materno simile darebbe luogo ad un attaccamento insicuro con psicopatologie emergenti soprattutto in età adolescenziale.

Nella fase di sviluppo preverbale di un bambino è fondamentale l’azione di bonifica, da parte della mamma (azione che lo psicanalista Wilfred Bion ha chiamato funzione alfa), delle impressioni sensoriali ed emozioni donategli dal suo bambino, perché questi man mano giunga alla formazione del pensiero, prima come immagine mentale, poi come funzione cognitiva legata alla parola.

Secondo alcuni studiosi si sviluppa a partire dai quattro anni la cosiddetta Teoria della Mente, ovvero la capacità del bambino di attribuire a sé stesso e ad altri un insieme di stati mentali, pensieri, intenzioni e credenze, che consentono l’operazione di prevedere il comportamento altrui. Esistono alcuni precursori della Teoria della Mente già nel primo anno di vita. Si tratta di manifestazioni precoci da parte del bambino del riconoscimento dell’altro come agente dotato di stati mentali autonomi. Tra queste rientrano:

  • La triangolazione dello sguardo (tra il bambino, l’adulto e l’oggetto)
  • Il poiting dichiarativo (il gesto per indicare qualcosa)
  • L’Imitazione del comportamento degli altri
  • Il Gioco di finzione (“far finta di” usare un oggetto per rappresentarne un altro)

Un recente filone dell’infant reaserch portato avanti da Mary Main, psicologa dell’età evolutiva, afferma che un indice predittivo del tipo di attaccamento che svilupperà un figlio è la capacità metacognitiva dei genitori, ovvero la capacità di pensare ai pensieri del bambino. Declinando il famoso aforisma di memoria cartesiana, potremmo dire “Cogitas ergo sum” ovvero “(mi) pensi dunque sono”.  La Main, ha proposto un modello esplicativo sulla trasmissione dell’attaccamento del bambino in cui mostra quanto questo sia fortemente correlato alla qualità della metacognizione dei genitori.

Qualora il genitore evidenzi una fragilità nel comprendere lo stato mentale del bambino, quest’ultimo manifesta vulnerabilità alla variabilità del comportamento dell’adulto. Spesso, nella richiesta di una consulenza alla genitorialità, si riscontra la difficoltà a comprendere cosa accade nella relazione col proprio figlio. Come se fosse venuta meno quella capacità di “salutarsi”, cioè di vedersi e di vedere l’altro da sé.

La consulenza genitoriale analitico transazionale diventa quello spazio-tempo di recupero di tale capacità autoriflessiva dei propri stati mentali grazie alla relazione empatica e partecipativa che si stabilisce all’interno di un setting relazionale ecologico. Attraverso l’azione facilitante e rispecchiante del counsellor o del terapeuta è possibile una operazione di bonifica che faccia accedere il genitore o la coppia genitoriale alla comprensione e alla consapevolezza del proprio pensare, sentire e agire per ri-abilitare quel saluto empatico che ogni essere umano desidera ricevere.