Questa epoca che abbiamo chiamato l’ età dell’ansia digitale e delle paure, è stata recentemente definita anche come l’età della rabbia.
Il tema della rabbia che porta a pensieri e parole di odio, capaci di scatenare azioni violente nella vita delle persone e dei popoli preoccupa tutti noi. Oggi non facciamo che parlare di haters nel mondo digitale (Pasta, 2018), ma ci preoccupiamo giustamente anche dello scatenarsi della violenza nei popoli e della regressione delle democrazie che di nuovo fronteggiano il diffondersi di pericolosi semi di violenza.

Dalla psicologia sappiamo che la violenza è legata al fallimento dei legami affettivi e alla carenza del processo di mentalizzazione.

Sappiamo bene inoltre che il nostro cervello produce le risorse per favorire i legami di attaccamento, e ormai conosciamo bene come questi si indeboliscono nei traumi e nelle esperienze di deprivazione e come si curano le menti fragili. Le ricerche più recenti e le esperienze cliniche più efficaci ci indicano come si possono restituire al mondo persone capaci di amare e di riparare le ferite dell’odio. La psicoterapia è ormai universalmente riconosciuta come uno strumento prezioso per riparare i danni della mente e sappiamo anche come l’educazione socio-affettiva nelle scuole è uno degli strumenti principali di prevenzione del disagio.
Sappiamo come si possono rendere gli ambienti di lavoro ecologici e sani, sappiamo come curare le comunità e i popoli. Eppure il nostro mondo globale è anche il mondo dei più grandi squilibri economici e sociali, è il mondo in cui mentre masse di disperati escono dalla povertà e dalla fame si diffondono anche nuovi odi e nuovi conflitti.

Mentre scrivo su questi temi l’ultima versione del mio articolo è stata cancellata prima di essere salvata e questo è avvenuto simbolicamente proprio mentre alcune riflessioni venivano spazzate via dall’epidemia di coronavirus che ci ha costretto ad annullare il nostro convegno di aprile, che sta trasformando profondamente la nostra vita quotidiana e sta aumentando le incertezze sul futuro. Con la mia collega Anna Massi (in Marconcini, 2018a e 2018b) abbiamo studiato come la paranoia e il narcisismo siano i due mali psicologici del nostro tempo e purtroppo gli eventi dai quali siamo stati travolti mettono in una fioca luce le fragilità di sempre. Stiamo vivendo tra la frustrazione dei limiti imposti dalla realtà e il panico totale di cui parlava solo pochi anni fa l’intellettuale indiano Pankaj Mishra nel saggio L’età della rabbia (2018) da cui ho tratto molte suggestioni e interpretazioni sul nostro tempo. Le infinite possibilità teoriche di diventare grandi, famosi, immortali nel solco dell’individualismo contemporaneo si scontrano con la realtà di un mondo pieno di limiti, di un presente povero e di un futuro incerto. Da qui secondo Mishra la costante frustrazione che genera rabbia e odio, che produce il terrorismo su scala globale, ma anche la follia della porta accanto e i piccoli haters seriali che si sfogano in rete e sparano dai social. È la vulnerabilità del narcisismo, diciamo noi psicologi, nel periodo in cui le nostre categorie sono usate e abusate da ogni giornalista e sociologo, ma anche da ogni lettore – o lettrice – più sensibile e curioso di comprendere le relazioni umane. E alla solitudine, all’impossibilità di vivere una vera intimità – che sono i veri drammi del narcisismo – per l’individuo si aggiunge il panico globale tra paure generalizzate, ansia e paranoia.

Sto scrivendo alla fine di marzo 2020 dopo un mese di convivenza con il tema della pandemia da coronavirus, in un tempo sospeso dove tutta la nostra esperienza del mondo è radicalmente modificata.
Viviamo tutti chiusi in casa, in una quarantena che potrà durare a lungo, con lo stress dell’infodemia, delle informazioni che penetrano nelle nostre menti senza argini, senza mascherine, senza che possiamo proteggerci.
Si confonde la protezione con l’ossessione, la necessità di rispettare le regole dando un contributo al mondo proprio con l’astensione dal mondo, con la distanza da tutti e da tutto.
In realtà, siamo molto vicini e connessi al mondo, ma la connessione è virtuale, è fatta di parole, suoni e immagini e non di corpi che si incontrano, scontrano, danzano.
Ogni incontro fisico è un pericolo e il respiro, fonte della vita, materia primordiale della vita come direbbe Anassimene, diviene la possibile fonte del contagio. Scriveva il filosofo greco nel sesto secolo a.C. :

“Come l’anima nostra che è aria, ci sostiene, così il soffio e l’aria circondano il mondo intero”

L’aria e il soffio vitale, il respiro oggi possono portare il rischio, il contagio, la morte o possono tornare a essere i veicoli della salute, della rinascita, della vita che riprende il suo corso. Il respiro è ciò che ci rende vivi e questa è la grande ricchezza di cui non disponiamo più con certezza. In realtà nessuno di noi ha mai potuto avere certezza sulla vita e sulla morte, ma l’illusione di immortalità ci ha toccato un po’ tutti. Inseguiamo da tempo in occidente il mito dell’immortalità e questo gigantesco evento distrugge prima di tutto i nostri miti e le nostre illusioni.
C’è rabbia, odio in questo momento?
Direi che siamo tutti sopraffatti dalla paura e dal panico. L’ansia prevale ancora una volta sulla rabbia.
Si fermeranno le guerre per la paura, si ferma il capitalismo ingordo perché il nemico invisibile è nemico di tutti, i ricchi e i poveri. Assistiamo con stupore alle notizie di grandi della Terra che risultano positivi, infetti e siamo sorpresi dal fatto che non ci si può proteggere neanche con molti soldi e molto potere.
Il virus è democratico, è dappertutto.
Certo le condizioni socio-politiche non sono indifferenti. È molto diverso ammalarsi per chi vive in un paese con una sanità pubblica che riconosce il diritto alle cure, il diritto alla vita e la dignità nella morte, e per chi invece vive questa esperienza in un contesto che fa dei diritti fondamentali dell’uomo materia di privilegio e speculazione.
È soprattutto molto diverso avere le scorte di cibo in una casa in cui ci si può rifugiare dall’essere in mezzo a una strada o sotto le macerie delle bombe. Su questo le differenze si fanno drammatiche, pesanti e si capisce che nessuno può salvarsi da solo, si capisce che la rabbia sana è indignazione, impegno per rendere il mondo più equo, più ospitale per ogni essere umano, per ogni essere vivente.

Mi pare drammatico anche leggere i post facebook di chi contrappone la terra e la natura all’uomo, di chi accoglie spiegazioni folli di questa peste che viene descritta come la punizione della natura in rivolta contro l’uomo distruttore degli equilibri generali.
Mi pare drammatico ascoltare chi con cinismo preferisce lasciar morire i propri concittadini per non fermare le produzioni e l’economia senza vita del denaro in movimento solo per arricchire chi è già straricco.
C’è chi dice che non torneremo più gli stessi, che il mondo che sopravviverà alla pandemia sarà un mondo nuovo, diverso, chi spera che impareremo da tutta questa sofferenza, da queste perdite, da questa paura.
Non so se sarà così, certo o andremo verso l’empatia globale o verso l’entropia globale come diceva qualche anno fa Jeremy Rifkin (2009).

 

Bibliografia:
Giordano, P. (2020). Nel contagio. Torino: Einaudi.
Marconcini, A. (a cura di) (2018a). Intervista ad Anna Emanuela Tangolo. Percorsi di Analisi Transazionale, V. 4. pp. 23-32.
Marconcini, A. (a cura di) (2018b). Intervista ad Anna Massi. Percorsi di Analisi Transazionale, V. 4. pp. 33-48.
Mishra, P. (2018). L’età della rabbia. Milano: Mondadori.
Pasta, S. (2018). Razzismi 2.0. Analisi socio-educativa dell’odio online. Brescia: Morcelliana.
Rifkin, J. (2009). La civiltà dell’empatia. Milano: Mondadori.

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