Cristiana Vettori
Luglio 2004
In questo breve saggio si porpone una riflessione sui rapporti d’amore, seguendo le indicazioni di Eric Berne, il fondatore dell’ AT, e per farlo si utilizzano alcune immagini e figure del mito classico.
Amore e mito in Eric Berne
Berne affronta il tema del mito, ritenendo il mito una rappresentazione del copione e portando numerosi esempi che dimostrano “una somiglianza che di fatto esiste fra miti, fiabe e persone reali” (E.Berne ”Ciao!… e poi” Bompiani pag. 43). La riflessione sui rapporti d’amore costituisce d’altra parte, per Berne, l’occasione per riproporre i capisaldi della sua teoria: il copione, i giochi, l’intimità, ecc. “Tutti i tipi di copione hanno un risvolto sul piano sessuale…così come a livello più profondo, ogni copione ha un proprio rapporto con il vero orgasmo.” Scrive Berne in “Ciao!…E poi?” (pag. 181).
E ancora: “La potenza sessuale, l’energia e la forza di un essere umano sono in qualche misura determinate da fattori ereditari e dal metabolismo, ma sembrano influenzate ancora più intensamente dalle decisioni di copione che vengono prese nella prima infanzia e dalla programmazione parentale che è causa di quelle decisioni. Così non solo la possibilità e l’intensità delle attività sessuali, ma anche la capacità e la disponibilità ad amare sono in larga misura già decise all’età di sei anni. Questo sembra adattarsi ancora più fortemente alle donne. Alcune di esse decidono molto presto che vogliono essere delle mamme quando saranno grandi, mentre altre decidono nello stesso periodo di rimanere vergini o spose vergini per sempre. In ogni caso per entrambi i sessi l’attività sessuale viene continuamente ostacolata da giudizi parentali, precauzioni adulte, decisioni infantili, pressioni della società e paure, così che i bisogni e i cicli naturali vengono repressi, esagerati, alterati, disgregati o corrotti. Il risultato è che qualunque cosa sia chiamata “sesso” diviene lo strumento di un comportamento di gioco. Le transazioni semplici dei miti greci, gli inganni, le discussioni e le riunioni che avvengono sul monte Olimpo sono la base della versione primitiva del copione; esse vengono riprese negli inganni e nei sotterfugi dei racconti popolari, così Europa si trasforma in Cappuccetto rosso, Proserpina in Cenerentola, e Ulisse nel principe che viene tramutato in rana.”( “Ciao!…E poi?” pag. 182)
La sessualità diretta rende la gente felice in modo diretto. I giochi sessuali soddisfano altri bisogni oltre a quelli sessuali o al posto di quelli sessuali: odio, rancore, collera, paura, rimorso, vergogna e imbarazzo, oltre all’amor proprio ferito, all’inadeguatezza e a tutti gli altri sentimenti negativi su cui certa gente non può fare a meno di fissarsi respingendo l’amore.
Il secondo vantaggio, definito psicologico esterno, è che i giochi evitano confronti, responsabilità e impegni. I giochi, mentre permettono alle persone di non infastidirsi con una vicinanza eccessiva, mettono e mantengono i giocatori in contatto fra loro quel tanto che basta perché non abbiano a pestarsi i piedi ma non fino al punto da indurli ad assumersi seri impegni reciproci. I giochi offrono la possibilità di contatti sociali pseudointimi nella vita domestica o privata, e ciò costituisce il loro vantaggio sociale interno.
Dato che i giochi sono pieni d’incidenti e di piccoli drammi, a volte veri e a volte falsi, forniscono alla gente degli argomenti che riguardano il mondo esterno. Questo è il loro vantaggio sociale esterno.
2I giochi sessuali soddisfano la fame di stimolo, la fame di riconoscimento e la fame di struttura. Per la maggior parte delle persone, sono più divertenti dello starsene da soli (isolamento), del mostrarsi diplomatici durante i ricevimenti(rituali), del recarsi al lavoro la mattina (attività) o del parlare del golf (passatempi). Essi stimolano il metabolismo, eccitano le ghiandole, accelerano il movimento dei succhi gastrici e impediscono al corpo, alla mente e allo spirito di decadere lentamente.
Il sesso non è mai disgiunto dall’Individualità o dalla personalità, e cioè dalla risposta alla domanda: “Chi sono?” Questo interrogativo e quello successivo, “Che cosa ci sto a fare qui?” sono problemi esistenziali. Il vantaggio esistenziale dei giochi sessuali è che ci aiutano, benché meno di quanto possa farlo la vera intimità, a rispondere a queste due domande. Essi sono particolarmente utili per rispondere al terzo quesito, che è “Chi sono per tutti gli altri?”
I giochi rendono la gente confortevolmente felice o familiarmente infelice dimostrando che la programmazione parentale fornisce un quadro fedele della sua esistenza e del mondo che la circonda, e i giochi sessuali sono ideati con cura in vista di questo scopo con una scelta dei giocatori giusti, che vengono indotti a reagire nel modo richiesto.”(E. Berne “Fare l’amore” Bompiani pagg. 178-180)
Il mito di Apollo e Dafne
Un esempio del gioco “violenza carnale” nella mitologia è la storia di Apollo e Dafne. Giovane e bello, splendente e puro, Apollo è il figlio di Zeus e Latona, il più grande di tutti gli dei dopo suo padre. È anche chiamato Fòibos, l’Illuminante: è il dio della luce, come un sole che accende tutti gli astri del cielo; e col nome di Febo, appunto, egli guida gli scalpitanti cavalli che trasportano nel cielo il carro del Sole. Apollo amò ninfe e donne mortali, ma questi amori erano spesso congiunti alla morte, o avvolti nel mistero di oscure, tragiche metamorfosi: forse a significare che la Luce, sinonimo di verità, non ha ancora diritto di accesso nel cuore degli uomini, dove si annida l’ombra delle passioni. Dafne, la bella figlia di Peneo, aveva destato la passione di un giovane di nome Leucippo, quando anche Apollo si innamorò di lei. Leucippo, d’accordo con l’amata, si travestì da donna per restare vicino a lei senza che nessuno se ne accorgesse. Ma il dio chiaroveggente scoprì l’inganno e ordinò alle ninfe di uccidere il rivale. Per sottrarsi al suo desiderio Dafne fuggì, e quando il Nume, innamorato, stava per raggiungerla chiamò in aiuto la veneranda Gea che la trasformò in albero: e fu così che il lauro(in greco dafne, appunto) diventò la pianta sacra ad Apollo e simbolo di onore.
Nel mito il sentimento d’amore è fonte di dolore per entrambi i protagonisti: dolore per Apollo, dio innamorato e respinto, a cui peraltro nulla vale l’estrema prestanza né la stessa condizione divina; dolore per Dafne, offesa e disgustata dalle profferte del dio, al punto di preferire la trasformazione in una natura inferiore, pur di sfuggire a un sentimento che vive come offesa e violenza.
Verso l’intimità. Amore e Psiche
Quando il gioco finisce. I giochi sono una modalità di impostare le relazioni con gli altri che offre alte remunerazioni in termini psicologici ma al tempo stesso avvelena la vita sociale.
Che cosa c’è oltre ai giochi? Che cosa occupa lo spazio che una persona è riuscita a liberare dai giochi? C’è la possibilità dell’intimità: per Berne è intimità ogni rapporto tra due persone che sia libero da giochi e da manovre di potere. In sostanza è uno scambio di carezze, tanto più ricco quanto più a comunicare sono i Bambini, con la presenza dell’Adulto che sa quello che fa e del Genitore che approva.
Per rappresentare questa situazione umana, proponiamo un altro mito: la favola di Amore e Psiche, La storia narra l’avventura di Psiche, stupenda figlia di un re, osteggiata da Venere per la sua bellezza. Per vendicarsi la dea ordina al figlio Eros di punirla. Ma il dio se ne innamora perdutamente e la trasporta in un palazzo fatato, dove Psiche trascorre una vita da sposa-regina, senza poter vedere però il suo sposo. Spinta dalla curiosità e istigata dalle sorelle gelose, Psiche una notte prende una lampada, illumina Eros e se ne innamora. Il dio però, svegliato da una goccia d’olio, immediatamente scompare. Psiche, pur di riconquistarlo, si rivolge a Venere che la sottopone a una serie di prove, l’ultima delle quali consiste nella discesa all’Ade, dove la dea Proserpina le consegna una scatola da consegnare a Venere, in cui è racchiusa parte della sua bellezza. Vinta dalla curiosità, Psiche apre la scatola e cade in un sonno mortale. La salva l’intervento di Eros, che la conduce da Giove, implorando pietà per l’amata. Giove approva le nozze e trasforma Psiche in una dea immortale. Da Eros e Psiche nasce una figlia chiamata Voluttà.
Il momento in cui Psiche, avvicinando la lampada al volto di Amore, scopre un essere bellissimo di cui si innamora immediatamente rappresenta molto bene il fenomeno che Berne definisce “accensione”: “L’accensione corrisponde esattamente a ciò che la parola indica: la persona giusta preme l’interruttore, e l’intero corpo si illumina, dagli occhi al cervello e fino al petto, al ventre e ancora più in giù. Non c’è pregiudizio parentale o di classe sociale che tagli i fili, e né la razionalità né la prudenza dell’Adulto staccano la spina. E’ soltanto il Bambino che produce l’accensione, ed essa avviene o non avviene. Il fenomeno è molto simile a quanto si verifica con l’imprinting negli uccelli. E’ una reazione sensoria più che personale, ed è soprattutto visiva. Altri sensi possono contribuire, e l’accensione può essere resa più vivida da sogni ad occhi aperti e glorificata da precedenti frustrazioni, ma il lampo di riconoscimento proviene quasi sempre dalla vista.” (“Fare l’amore” pag.114).
La favola di Amore e Psiche è stata oggetto di varie interpretazioni, soprattutto da parte di studiosi di matrice junghiana che ne hanno messo in luce le profonde implicazioni psicologiche. Erich von Neumann ha condotto una analisi approfondita della favola in un famoso saggio intitolato appunto “Amore e Psiche”, pubblicato in traduzione italiana dalla casa editrice Astrolabio. Al capitolo 22° del libro V Neumann dedica pagine suggestive, sottolineandone la grandezza mitica e la rilevanza simbolica.
Spinta dalle sorelle, che rappresentano il lato matriarcale della femminilità e ribellandosi alla situazione di oscurità in cui è costretta, Psiche illumina Eros con la lampada: è questo atto di conoscenza che la porta ad amare veramente. L’amore – sembra dire la favola – come espressione dell’animo femminile, non è possibile nell’oscurità, soltanto come processo inconscio; il vero incontro con l’altro include la presenza della coscienza e con ciò però anche l’aspetto della sofferenza e della separazione. Psiche ferisce se stessa e ferisce Eros, determinando in tal modo la dissoluzione della loro unione inconscia. Ma, solo grazie a questa doppia ferita, nasce la possibilità di un reale incontro tra due individualità. Neumann attribuisce dunque alla favola un doppio significato: da un lato, essa costituisce un testo esemplare sulla psicologia della donna e sull’evoluzione femminile; dall’altro rappresenta l’affermazione di un nuovo principio d’amore, in cui l’incontro tra il maschile e il femminile diventa il fondamento dell’individuazione. In ciò sta pertanto – secondo Neumann – la differenza tra Venere e Psiche: mentre la prima è una forza anonima e universale che unisce l’uno con l’altro il maschile e il femminile, Psiche stabilisce il principio dell’incontro d’amore come via verso l’individuazione.
Anche Bettelheim in “Il mondo incantato” (Feltrinelli) attribuisce una particolare importanza a questo capitolo della storia: nella improvvisa illuminazione del dio da parte di Psiche, Bettelheim individua un peccato di eccessiva “curiositas”. Non è possibile, infatti, conseguire la conoscenza di colpo, prima di essere abbastanza maturi per essa. Secondo l’interpretazione complessiva della favola, suggerita da Bettelheim, le avversità della Psiche suggeriscono le difficoltà che si incontrano quando le più nobili qualità psichiche (Psiche) devono coniugarsi con la sessualità (Eros).
Una particolare menzione merita anche il saggio “L’asino d’oro” di Marie Louise von Franz (Boringhieri). Allieva di Jung, che la invitò personalmente a interessarsi del testo di Apuleio, la von Franz considera il romanzo come un testo misterico sulla trasformazione della personalità. Secondo la studiosa, la favola è stata inserita nel romanzo per rappresentare il problema di “anima” dell’autore stesso, ossia la necessità di integrare nella personalità di Lucio-Apuleio, la parte femminile. Tuttavia l’esito della favola stessa indica che tale integrazione è riuscita solo parzialmente: così l’Autrice interpreta il fatto che da Amore e Psiche nasca una figlia chiamata Voluttà, che non può essere considerata un simbolo del sé, e cioè di una personalità completa e integrata in tutte le sue parti. Sarà solo con l’adesione finale al culto di Iside che si realizzerà pienamente la trasformazione della personalità di Lucio e di Apuleio stesso.
L’attualità della favola di Amore e Psiche
Un ultimo approfondimento merita la riflessione sulla attualità della favola di Amore e Psiche. È stato soprattutto James Hillman, filosofo contemporaneo statunitense e illustre esponente della scuola psicoanalitica junghiana, in un famoso saggio “Il mito dell’analisi” (Adelphi) a presentare una attualizzazione della favola, proponendola addirittura come mito fondante di una nuova “psicologia creativa”. Secondo Hillman, i miti che la psicoanalisi ha fin qui utilizzato sono ormai inadeguati a descrivere la nuova realtà psichica. Edipo nel 1900 (Freud) e il viaggio notturno dell’eroe nel mare nel 1912 (Jung) riguardano le lotte della coscienza con la famiglia incestuosa e l’apertura della coscienza umana a un destino individuale. Ma, secondo Hillman, questa fase è ormai superata. La coscienza psicologica sta mutando: il suo interesse oggi, quando una serie di incidenti potrebbe distruggerci tutti, è per il destino stesso dell’anima, per la fertilità della sua immaginazione, per il risveglio dell’energia creativa. E la favola di Amore e Psiche rappresenta appunto questo: ciò che accade è proprio la connessione dell’eros creativo con una psiche che si risveglia, e ciò corrisponde a una delle più profonde esigenze dell’uomo contemporaneo.