Andrea Marconcini

Luglio 2005

La maggior parte delle analisi di clima organizzativo vengono effettuate in tre momenti topici del processo di sviluppo organizzativo.

1. Premesse alla Diagnosi

Una diagnosi organizzativa condotta attraverso la rilevazione di clima, deve tener conto di una serie di problemi metodologici e tecnici (Spaltro, 2004): la criticità non risiede tanto nella scelta di uno strumento di misura rispetto ad altri, pure disponibili (a pari garanzie di scientificità), quanto nella corretta implementazione e gestione delle procedure (Quaglino, 2001).

Sono necessarie modalità veloci di rilevazione diretta della percezione di clima, effettuate prevalentemente in piccoli gruppi: nella nostra epoca, grazie alla diffusione di nuove e istantanee modalità di comunicazione (e-mail, videoconferenze, chat ), è possibile creare relazioni gruppali anche attraverso la rete (Spaltro, 2004).

E’ indispensabile definire una o più variabili indipendenti, stabilire criteri per la rilevazione di clima e chiarire il livello di misura che viene adottato per la diagnosi (se cioè si ha a che fare con l’intera organizzazione o con agglomerati di piccoli gruppi scelti a seconda delle finalità della ricerca) (Spaltro, 2004).

Diviene importante monitorare la fase di riciclaggio o di restituzione dei dati a coloro che ne hanno permesso la raccolta, e raffinare le capacità di gestione delle resistenze nel momento suddetto; le direzioni di impresa non accettano di buon grado la trasparenza e sono convinte che se l’analisi rivela un clima di malessere è meglio che non lo si sappia, dentro e fuori l’impresa. L’esperienza tende a dimostrare invece che, anche in una condizione di clima negativo, la rilevazione in sé, determina un miglioramento del clima stesso. All’opposto, misurare un clima e poi non restituire i risultati di una misura, determina l’emergere di fantasie persecutorie legate a immanenti disastri presenti nell’impresa (Quaglino, 2002b; Spaltro, 2004).

Un’organizzazione che si rende disponibile ad una diagnosi di clima organizzativo, dovrà lavorare in condizioni di apparente imprevedibilità, disponendosi ad affrontare tutti i possibili incontri che sempre un percorso comprende, inclusi gli errori che normalmente si possono fare dal momento che non esiste un questionario che sia in assoluto migliore di un altro o, analisi di dati in assoluto migliore di altre (Quaglino, 2002b).

E’ fondamentale la modalità di coinvolgimento della direzione e dei dirigenti di azienda nella misurazione del clima; accanto a pareri che sostengono la necessità di rilevazione dall’alto, altri oppongono la dannosità di seguire un criterio gerarchico, onde evitare di cadere in una logica obiettivista e esclusivista e propongono un crescente impiego dei livelli intermedi. Occorre concordare con loro i dettagli dell’intervento e la restituzione dei dati per una rilevazione partecipativa del clima aziendale (Spaltro, 2004).

L’accumulo di esperienze ha permesso di raffinare gli strumenti di misura di clima organizzativo in concomitanza all’approfondimento teorico del costrutto. Schneider ha dimostrato come all’interno di un’organizzazione possono esserci differenti climi funzionali a diversi scopi (Schneider, 1975): possono esistere climi per la sicurezza (DeJoy, Schaffer, Wilson, Vandenberg e Butts, 2004; Silva, Lima e Baptista, 2004; Cooper e Phillips, 2004), per l’innovazione e la propensione alla creatività (Abbey e Dickson, 1983; Amovilli, 1995a), per la soddisfazione e la comunicazione (Amovilli, 1995b; Spaltro, 1995, 2000); è, dunque, di estrema importanza nella diagnosi focalizzarsi su aspetti del clima rilevanti per lo scopo della ricerca (“climate for something”) (Pierro, 1994; Schneider, 2001; Hayes, Bartle e Major, 2002).

Occorre inoltre poter sondare soprattutto variabili comuni a tutte le organizzazioni, mediante un questionario abbastanza rigido ma anche modificabile, sulla base delle esigenze delle singoleorganizzazioni (De Vito Piscicelli, 1983). In effetti una diagnosi organizzativa prevede la misura di variabili “fisse”, valide per tutte le collettività e organizzazioni, cosa questa di non facile realizzazione. D’altra parte in mancanza di una metodologia fissa, verrebbe a saltare il carattere fondamentale di ogni misura, cioè la comparabilità dei risultati (Spaltro, 1977). Diversi sono nella pratica gli approcci possibili alla misura del clima organizzativo e gli strumenti utilizzati per questo scopo, sono generalmente suddivisi in due gruppi: strumenti ready-made(1) e strumenti tailor- made(2) (Majer e D’Amato, 2001b).

Di fronte al dilemma della massima personalizzazione e qualità del dato da un lato, e della massima spersonalizzazione, con l’utilizzo di tecniche standard dall’altro (Majer e D’Amato, 2002), la soluzione che dovrebbe essere preferibilmente scelta è una proposta intermedia tra i due gruppi descritti, ovvero una procedura integrata che accolga al suo interno strumenti strutturati e ampiamente validati nelle loro caratteristiche strutturali e psicometriche, affiancati da una parte costruita ad hoc per l’organizzazione interessata (Majer e D’Amato, 2001b).

La solidità dell’impianto metodologico consente di sostanziare in modo appropriato la prospettiva teorica, ovvero la posizione modellistica di partenza e di arrivo. Il modello di riferimento, nel momento in cui ci accingiamo a effettuare una rilevazione di clima organizzativo, dovrebbe aver definito con chiarezza i confini della dimensione di clima organizzativo, ovvero circoscritto il concetto, dissipando confusioni, ridondanze e possibili sovrapposizioni con altri costrutti, quali ad esempio quello della soddisfazione o motivazione, in passato usati come sinonimi e fonte di grandi difficoltà nel momento della declinazione operativa degli esiti della ricerca (Quaglino, 2001).

 

2. Il momento della diagnosi

La maggior parte delle analisi di clima organizzativo vengono effettuate in tre momenti topici del processo di sviluppo organizzativo:

– in una fase di stabilità priva di preoccupazioni, durante la quale il management può decidere di dedicare parte delle risorse al miglioramento complessivo dell’organizzazione del lavoro e alla qualità della vita aziendale

– in un periodo di crisi di gestione delle risorse umane

– prima di un’innovazione procedurale o intervento organizzativo (MajereGazzaniga,2003).

In particolare l’apporto dell’analisi di clima è ancora più rilevante/incisivo quando è in atto un processo di cambiamento che può portare con sé sentimenti di incertezza, di instabilità e discontinuità che talvolta rischiano di colorare negativamente situazioni oggettivamente e soggettivamente valide e positive che potrebbero costituire il punto di forza di un processo di cambiamento (Majer e D’Amato, 2002). Analisi approfondite hanno infatti rivelato spesso che pochi sentimenti negativi, se non adeguatamente individuati e gestiti, prevalgono su un’ampia gamma di aspetti positivi e piacevoli, pur avvertiti dai lavoratori (Spaltro, 1977), definendo un sentimento globale determinato essenzialmente da aspetti negativi (Majer e Gazzaniga, 2003). Effettuare un’analisi di clima significa favorire l’emergere di aspettative da parte dei membri dell’organizzazione con la necessità di negoziare le aspettative stesse perché possano essere a un tempo realistiche e condivise in modo da dare risposte adeguate ed efficaci ai problemi veri percepiti dai membri dell’organizzazione. Solo così sarà possibile dare risposte adeguate ed efficaci ai problemi veri percepiti dai membri dell’organizzazione. Dal momento che impostare una diagnosi è una dimostrazione della politica di gestione e valorizzazione del personale (Molinari, 2002), andrà posta la massima attenzione nel coinvolgere e condividere fin dall’impostazione del processo, sia pure nella diversità dei ruoli, dei compiti e delle responsabilità, i vari attori del processo di ricerca-intervento (dirigenti, quadri, rappresentanze sindacali, organi istituzionali) nel massimo rispetto della cultura organizzativa e delle prassi vigenti che da essa derivano (Majer e Gazzaniga, 2003).

Per gestire un’analisi di clima è assolutamente necessario da un lato, avere chiarezza riguardo gli obiettivi e gli intenti, dall’altro, ottenere il consenso di tutti i membri dell’organizzazione. Operativamente si dovrà comunicare a chiunque sarà coinvolto nel processo quali siano le finalità dell’intervento e come si intenda procedere: si valuteranno con attenzione tutti i passi da effettuare , iniziando con incontri preliminari con i vertici aziendali e con il successivo coinvolgimento delle rappresentanze delle componenti aziendali significative, in modo da informarle preventivamente, ma pure favorirne la partecipazione attiva nel processo di progettazione della ricerca empirica. Anche tutti i diversi attori dell’organizzazione devono essere informati e coinvolti al fine di evitare che l’intervento venga vissuto come imposto dall’alto; si tratta di informare i partecipanti circa le finalità della ricerca e gli strumenti che verranno utilizzati, in modo da rendere il processo “il più familiare possibile” e scongiurare l’insorgere di aspettative distorte o eventuali timori (Majer e Gazzaniga, 2003).

All’opposto una scarsa informazione circa le finalità della diagnosi, insufficienze da parte dell’organizzazione derivanti da una probabile sottovalutazione dell’importanza e dell’efficacia del lavoro che si intende svolgere e scarse garanzie di anonimato, influiranno negativamente nella raccolta di dati qualitativamente interessanti (Spaltro e Bernabei, 1987).

Senza questi punti fermi, i dati possono essere forniti più o meno casualmente, in quanto i partecipanti, non credendo al processo e neppure all’utilità dei risultati, potranno prendervi parte senza la volontà di partecipare realmente e senza l’interesse a portare un contributo al miglioramento della propria organizzazione e della stessa qualità della vita lavorativa (Majer e Gazzaniga, 2003).

Quindi se l’intervento di analisi del clima organizzativo è strutturato correttamente nelle sue parti, fornisce precise informazioni per inquadrare la situazione organizzativa, punti di forza e aree di criticità, fungendo così da base empirica su cui impostare interventi aziendali, tende a stimolare la riflessione dei lavoratori stessi su aspetti della vita professionale e organizzativa ai quali forse, non avevano mai prestato particolare attenzione, spingendoli quindi a fare chiarezza circa le loro percezioni individuali e può instaurare un’atmosfera di soddisfazione e parallelamente creare una condizione che favorisca un’attivazione dei membri dell’organizzazione per il fatto di essere l’oggetto di attenzione da parte dei ricercatori stessi o, in maniera indiretta, dei vertici aziendali (effetto Hawtorne) (3) (Majer e Gazzaniga, 2003).

Sequenza delle fasi della diagnosi di Clima Organizzativo

Verranno descritti qui di seguito gli step attraverso cui si sviluppa una diagnosi di clima organizzativo così come sono stati individuati da Majer e Gazzaniga (2003) nel corso di esperienze empiriche e momenti di riflessione su di esse. A detta degli stessi Autori, la numerosità e la successione degli step non è ovviamente rigida ma vuole proporsi come esempio paradigmatico e comunque in grado di realizzare con una buona probabilità di efficacia e di successo, un monitoraggio del clima organizzativo (Majer e Gazzaniga, 2003).

Individuazione del gruppo di lavoro

Una volta contattata l’organizzazione, la prima azione consiste nella determinazione del gruppo di lavoro o team: vi faranno parte ricercatori che hanno competenza nella gestione dei processi di analisi di clima e alcuni membri dell’organizzazione generalmente provenienti dalla direzione generale e del personale (Majer e Gazzaniga, 2003). Costruire un gruppo di progetto solido significa trovare il modo di coinvolgere e riunire intorno a un tavolo tutte le persone che possono assumere su di sé il presidio di questo processo organizzativo prima dell’affidamento di questo progetto di consulenza o di ricerca (Quaglino, 2002b).

“Le ricerche si costruiscono insieme fin dall’inizio; insieme si individuano obiettivi, contenuti, tempi, strumenti. Questo è il senso di un rapporto di forte responsabilità reciproca” (Quaglino, 2002b, p. 47). Il team avrà la piena responsabilità del progetto e si incontrerà prima dell’avvio della ricerca per chiarire la proposta, definire gli obiettivi e pianificare il percorso; successivamente avrà il compito di controllare la corretta sequenza delle fasi, monitorando lo svolgimento del lavoro (Majer e Gazzaniga, 2003).

La definizione degli obiettivi

Strutturato il team, il secondo passo è quello di iniziare immediatamente a definire per approssimazioni successive, il contenuto dell’analisi di clima e gli obiettivi che il progetto si propone (Che cosa si vuole conoscere individualmente e complessivamente? Come si definisce quello che si intende comprendere? Quaglino, 2002b). Di grande utilità la stesura di un testo riassuntivo dei principali punti discussi e delle decisioni adottate durante l’incontro.

L’analisi preliminare del contesto organizzativo

Si tratta di procedere con l’osservazione diretta della realtà organizzativa e dei suoi aspetti peculiari per conoscere tutto ciò che va oltre la descrizione effettuata dai vertici aziendali. Gli strumenti principali in questa fase sono appunto l’osservazione della vita organizzativa, ma anche i colloqui informali con le persone che in essa operano, il tutto nella maniera più destrutturata, cercando di influire il meno possibile sulla situazione. La visita dei luoghi ritenuti più indicativi della specifica realtà lavorativa, sarà parallela ad un programma di interviste individuali con alcuni testimoni privilegiati (4) selezionati casualmente all’interno di tipologie di dipendenti definiti in base a variabili organizzative rilevanti (Majer e Gazzaniga, 2003).

Il team quindi, riporterà quanto rilevato durante la fase esplorativa e riprenderà gli obiettivi precedentemente delineati per commisurarli concretamente alla realtà all’interno della quale sta operando (Majer e Gazzaniga, 2003).

La scelta della popolazione coinvolta nel processo di ricerca delle informazioni

Talvolta gli obiettivi potranno condurre alla necessità di fare riferimento solo ad alcuni gruppi individuati in base al livello di inquadramento o al settore operativo. In altre situazioni sarà necessario coinvolgere tutta la popolazione presente nell’organizzazione; nel caso di organizzazioni di grandi dimensioni, si potrà ritenere opportuno analizzare l’intera popolazione per fasce o si potrà ricorrere ad un campione rappresentativo della popolazione di riferimento (Majer e Gazzaniga, 2003).

Messa a punto della metodologia e/o degli strumenti di rilevazione

La definizione dei contenuti e degli obiettivi della ricerca, permetterà di scegliere l’approccio di ricerca più funzionale al raggiungimento degli stessi (Majer, e Gazzaniga, 2003). Gli Autori individuano due distinti approcci che possono essere impiegati nell’analisi di clima organizzativo: approccio qualitativo e approccio quantitativo. L’approccio qualitativo si può avvalere di interviste o di focus group (5), consente di prendere in carico gli aspetti soggettivi che emergono spontaneamente dall’incontro e dallo scambio di riflessioni all’interno di gruppi significativi, ovvero gruppi che condividono problematiche simili perché si trovano a svolgere una stessa funzione (Majer e Gazzaniga, 2003).

I gruppi vengono invitati (durata 1 ora/un’ora e mezza) a discutere della loro realtà lavorativa. Sono previste due fasi: una quella di riscaldamento (warming up) e l’altra di compilazione. Il riscaldamento consiste in una discussione guidata con qualche domanda stimolo (6) (Spaltro, 2004). Questo input che fornisce una notevole mole di materiale qualitativo, ha lo scopo anche di focalizzare la discussione sui temi che costituiscono le componenti principali dei climi da analizzare (Depolo, 1982). La compilazione consiste invece nella risposta al questionario prescelto (Spaltro, 2004). Questa parte è propria dell’approccio quantitativo perché quando risulta possibile e quando i contenuti e gli obiettivi della ricerca ne evidenziano l’opportunità, si potrà utilizzare congiuntamente entrambi gli approcci, ovvero effettuare analisi qualitative e quantitative facendo dialogare tra loro i risultati che ne emergeranno (Majer e Gazzaniga, 2003).

L’approccio quantitativo si riferisce generalmente all’utilizzo di questionari strutturati, consente la raccolta di informazioni direttamente da parte dei soggetti con la possibilità di quantificare le percezioni e i vissuti delle diverse componenti organizzative. Mediante l’ausilio di questionari strutturati, si potrà quantificare la vicinanza o la distanza tra le rilevazioni portate dai diversi gruppi significativi all’interno dell’organizzazione e monitorare l’andamento nel corso del tempo con analisi ripetute in relazioni ad accadimenti organizzativi interni o eventi esterni che incidono sul contesto organizzativo (Majer e Gazzaniga, 2003).

La decisione tra quantità e qualità dei dati deve essere pensata con e dal committente all’interno del gruppo di progetto, poiché la consapevolezza della differenza tra il dato qualitativo e il dato quantitativo in termini di resa è molto importante (Quaglino, 2002b).

L’uso di ciascun approccio offre al ricercatore dei vantaggi e lo pone di fronte a degli svantaggi (Marocci, 2001). Ad esempio, l’uso di interviste libere offre la possibilità di lasciare al soggetto la massima libertà di espressione, quindi nel caso della rilevazione del clima organizzativo, consente di cogliere anche i segnali deboli, cioè quelle dimensioni che potrebbero sfuggire al ricercatore nel momento della scelta degli indicatori. Tale strumento di misura però presenta anche numerosi svantaggi ad esempio il dispendio di tempo per effettuare la rilevazione, il costo dell’elaborazione del materiale e la difficoltà di comparazione dei risultati ottenuti in altre realtà. L’uso di questa tecnica costringe il ricercatore a molte inferenze nel momento della trasformazione delle risposte ottenute, in dati da trattare con analisi statistiche (Marocci, 2001).

Dall’altra, l’uso di strumenti strutturati come il questionario offre vantaggi quali la possibilità di elaborare celermente i risultati che si presteranno poi facilmente ad essere trattati con analisi statistica e ad essere confrontati con quelli rilevati in altre realtà (Marocci, 2001).

Approfondendo la questione dello strumento che verrà utilizzato per la rilevazione del clima organizzativo, Quaglino (2001) sottolinea tre punti a proposito del Majer_D’Amato Organizzational Questionnaire che possono essere considerati paradigmatici nella formulazione e nella scelta di qualsiasi questionario di rilevazione climatica.

Il primo ha a che fare con la scelta delle parole stesse per la formulazione degli item. Accade frequentemente che tanto più si cerca di creare uno strumento utilizzabile in tutti i contesti organizzativi (anche al fine di produrre comparazioni interaziendali utilizzabili dal management) quanto più si rischia di annacquare il linguaggio e renderlo in definitiva inappropriato ad ogni specifico contesto.

Il secondo punto riguarda la presenza di indicatori pertinenti a contesti organizzativi di differente natura che chiamano in causa sia caratteristiche del lavoro in organizzazioni più tradizionali (contesti industriali, privati e profit) sia caratteristiche più innovative (enti pubblici, di servizi e no- profit).

Il terzo punto è relativo all’effettiva utilizzabilità dello strumento per fare ricerca nelle organizzazioni. Si rivelano importanti a questo proposito aspetti quali la validità di facciata (ovvero la capacità di “convincere” i propri interlocutori al di là delle proprietà psicometriche certificate con la standardizzazione), il numero di item (che non può eccedere un certo limite per non limitare la disponibilità da parte delle organizzazioni e dei loro attori a partecipare alla somministrazione e per contenere i tempi della stessa) e la loro semplicità lessicale e sintattica (visto che ci si propone di estendere l’applicazione dello strumento a tutti i livelli aziendali) (Cortese, 2001; Quaglino, 2001).

Altro argomento sollevato dalla metodologia utilizzata per la rilevazione di clima sarebbe la distinzione tra l’uso di strumenti di misura con variabili predefinite o l’opportunità di utilizzare solo variabili esplicitabili in seguito, in genere mediante l’analisi fattoriale (Amovilli, di Taranto e Bernardi, 1995).

Il problema nasconde scelte ben più ampie: uno strumento di indagine di clima, secondo Amovilli e colleghi (1995), non può essere considerato alla stessa stregua di un test psicometrico, la cui efficienza intrinseca è assicurata dalla sua validità, attendibilità, sensibilità, praticità. Giacché il clima organizzativo è influenzato sia dai sistemi di costruzione della realtà individuali, che dalle variabili strutturali di un’organizzazione, è logico presumere che un tale genere di misura non possa essere considerata completamente stabile (Amovilli et al., 1995). Le macrodimensioni climatiche sono largamente influenzate da fattori culturali, organizzativi e individuali che ne influenzano non semplicemente il quantum ma anche e soprattutto la natura. D’altra parte ciò non toglie nessun interesse all’analisi statistica del clima mediante la classica analisi fattoriale. Poiché la diagnosi del clima è essenzialmente funzionale alla creazione di un linguaggio osservativo e intersoggettivo, la presenza di fattori, di portata, significato e valenza limitata al campo in oggetto, non fa altro che semplificare la comprensione dei risultati. L’individuazione di dimensioni latenti alla struttura di un questionario di clima non è unicamente funzionale alla sua validazione ma ha un suo interesse intrinseco nella natura, e casomai nella variazione, delle correlazioni caratteristiche trovate (Amovilli et al., 1995).

Verifica della funzionalità della procedura e delle tecniche

Si effettua su un gruppo campione estratto dall’organizzazione, la verifica della funzionalità e dell’applicabilità della procedura; ciò significa far svolgere al gruppo in questione tutte le attività che si sono predefinite nella fase precedente. Si tratta di una simulazione, alla fine della quale il gruppo sarà invitato a esplicitare riflessioni e commenti in merito alla comprensione e chiarezza delle domande e all’adeguatezza e applicabilità delle procedure di rilevazione. L’obiettivo è quello di individuare possibili soluzioni offerte dal gruppo campione per rendere il procedimento più trasparente e comprensibile a tutti (Majer e Gazzaniga, 2003).

Raccolta estensiva dei dati ed elaborazioni statistiche per la verifica delle ipotesi

In base alle esigenze dell’organizzazione e della procedura, l’intera popolazione o il campione individuato nelle prime fasi della diagnosi di clima, vengono convocati al fine di partecipare alla ricerca fornendo informazioni nei modi stabiliti. Successivamente i dati raccolti verranno sottoposti ad analisi statistiche per evidenziare la rilevanza delle variabili individuate a priori dal gruppo di ricerca (Majer e Gazzaniga, 2003). (7)

Prima lettura dei risultati, stesura del report provvisorio, incontro con il gruppo dei dirigenti e rappresentanti dell’organizzazione Il team raccoglie i risultati dalle analisi precedentemente effettuate, le possibili informazioni raccolte nei focus group e avanza le prime ipotesi interpretative. Dovrà stendere un report provvisorio da presentare ai responsabili dell’organizzazione (dirigenti e rappresentanti sindacali) in modo da individuare con essi azioni che possano sanare situazioni critiche o comunque modificare situazioni preesistenti. Altrimenti si fa precedere a questa fase quella della condivisione delle informazioni prima con tutte le componenti organizzative per poi restituire ai responsabili dell’organizzazione le informazioni arricchite dalla fase di riciclaggio dei risultati (Majer e Gazzaniga, 2003).

Riciclaggio dei risultati ai partecipanti

La fase della restituzione dei risultati della ricerca/intervento a tutti i partecipanti è importante per un’efficace analisi del clima (Majer e Gazzaniga, 2003). Da un lato, infatti, la diagnosi dell’organizzazione avviene di fatto in questa fase, insieme ai gruppi che hanno fornito i dati e non è semplicemente il risultato del lavoro di elaborazione ed interpretazione dei dati fatto dai ricercatori. Tutti i partecipanti alla ricerca hanno a disposizione i dati complessivi dell’organizzazione, e possono confrontare le proprie percezioni di clima con quelle espresse dagli altri (Depolo, 1982). L’organizzazione interroga se stessa e non lo fa unilateralmente, cioè attraverso l’osservatorio privilegiato di alcuni dei suoi protagonisti ma attraverso il confronto a diversi livelli dei componenti dell’organizzazione (Scatolini, 2003) . Questo interrogarsi consiste nel confronto tra i diversi modi con cui viene percepito il clima organizzativo da parte dei diversi protagonisti: tale confronto spesso è uno scontro, per cui molte sono le resistenze di coloro che temono lo scontro o le conseguenze di una verbalizzazione di atteggiamenti non espressi o di opinioni aggressive o di dissenso; la situazione è tale per cui tutti gli attori sociali valutano e sono valutati, e come tali possono essere sentiti come minaccianti e al tempo stesso vulnerabili (Spaltro, 2004).

Il momento della restituzione dei dati può essere trattato secondo due prospettive, parallele e intersecanti: l’una di natura psicometrica (Amovilli et al., 1995), l’altra di natura socio-dinamica (Spaltro, 2004). Se la prima fa riferimento alla chiarezza e comprensibilità dell’output generato dalle analisi statistiche dei dati, l’altra fa riferimento alle collusioni e paure che nascono dalla diffusione e dal paragone delle percezioni delle persone coinvolte nella ricerca.

– Aspetti psicometrici del riciclaggio La prima questione riguarda i criteri con i quali analizzare i risultati di una indagine di clima. La panoramica del dibattito è assai ampia e disorganica perché rimanda di fatto all’uso pratico che tali indagini devono e possono avere (Amovilli et al., 1995). Innanzi tutto il problema dell’indicatore statistico più idoneo alla rappresentazione del clima. La scelta del riciclaggio, secondo questa prospettiva, riguarda importanti problemi di comunicabilità. Amovilli e colleghi (1995) affermano a questo proposito che sia da preferirsi un sistema di feed-back più comprensibile che scientifico, più intuitivo che analitico. In definitiva la diagnosi dovrebbe servire a rispondere alle domande: Che tipo di clima è presente? Quali sono le cause? Quali le interazioni? Un secondo problema riguarda il livello di analisi scelto. Qual è il clima di un’organizzazione? Quello desunto dalla somma delle sue componenti o quello che tiene conto di una pluralità di situazioni presenti? Possiamo parlare di più climi esistenti in una stessa organizzazione? Anche questo, continuano Amovilli e colleghi (1995), non è un problema che può essere risolto in modo standardizzato poiché la scelta al riguardo dipende dalla natura dei dati a disposizione. Un semplice confronto numerico risulterebbe vago e inciderebbe quindi sulla chiarezza dell’output; per fornire invece un sistema di lettura intuitivo e chiaro, la procedura più indicata è di tipo fattoriale, con la precisazione che il feed-back ideale dovrebbe contenere, nello stesso diagramma, variabili indipendenti e dipendenti, scale nominali e numeriche e, soprattutto, non solamente l’assemblaggio delle varie variabili ma anche la loro diversa distribuzione di intensità nello spazio grafico. Da qui, la domanda che il gruppo di ricerca deve porsi è se debbano essere condivisi tutti i dati o solo una parte di essi. A chi ha risposto, in genere, non interessano tutti i dati della ricerca, interessa una parte di essi; non sono desiderosi di leggere tutte le tabelle o tutti i quadri ma una sintesi di essi. Il problema è quindi quello di comunicare la sintesi in maniera efficace e comprensibile (Quaglino, 2002b). Il dibattito in merito alla qualità tecnica del riciclaggio non si esaurisce affatto con la scelta di un output statistico piuttosto che di un altro ma si sviluppa attraverso una definizione del rapporto tra domanda del committente e consulenti, della finalità dell’intervento nel suo complesso e del setting. Il modello statistico deve fornire un feed-back che contenga le seguenti caratteristiche: -individuazione del proprio ruolo o della propria appartenenza ad un livello definito di misure di clima -comparazione di questo ruolo con le altre figure dell’organizzazione -comprensione del clima come concetto molare, risultante cioè dalla sinergia tra le misure considerate -individuazione chiara e intuitiva di un clima e/o di sub-climi organizzativi (Amovilli et al., 1995).

– Aspetti Socio-Dinamici del riciclaggio La diagnosi di clima organizzativo, deve essere considerata, alla luce di quanto emerso, un intervento psicosociale, una occasione di presa di coscienza. Tale finalità è raggiunta grazie alla diffusione, e al paragone delle percezioni delle persone coinvolte nella ricerca. Questa pluralità di percezioni, rese note durante la fase di riciclaggio dei dati, tende a realizzare un processo di autodiagnosi, diagnosi formulata e restituita da tutti i membri dell’organizzazione (Spaltro, 2004). La diffusa coscienza dei problemi esistenti permette una riappropriazione delle dinamiche organizzative: è questa la logica su cui si fonda la ricerca climatica, un continuo processo di conoscenza e riappropriazione. Conoscere il proprio punto di vista arricchisce la conoscenza dell’individuo. Venire a conoscenza dell’altrui punto di vista, crea nuove e fondate, perché condivise, possibilità di cambiamento (o speranza nello stesso) (Spaltro, 2004). Per cambiamento non si intende un cambiamento passivo (change), ma un cambiamento in cui da spettatori si diventa attori del proprio vissuto (changing). Innescando questo processo si mettono in moto meccanismi di difesa diversissimi (Spaltro, 1977; Kaneklin, 2002): l’evidenza empirica ha dimostrato che le resistenze al cambiamento trovano nelle rilevazioni di clima vie ottimali di rigetto e quindi modalità di difesa (Spaltro, 2004). Queste a livello collettivo vengono definite “alibi” (Spaltro, 1977; Marocci, 2000) ed esprimono la paura del collettivo, di solito rinforzata dall’aver conosciuto una gradevolezza ed un’appartenenza tanto faticosamente raggiunta nel gruppo (Marocci, 2000). Si fa riferimento qui, ai tre livelli di funzionamento sociale (coppia, piccolo gruppo, collettivo), che rappresentano tre modi di intendere le relazioni, o meglio la pluralità interumana, cui corrispondono tre culture con norme, valori, comportamenti differenziati. Il soggetto collettivo può sviluppare la sua triplice cultura di coppia(8), di gruppo(9) e di collettivo(10) a seconda dei suoi ruoli, climi, scopi, bisogni e contemporaneamente ogni individuo sviluppato collettivamente avrà a sua disposizione tre culture(11) (Marocci, 2000). Favorire un passaggio attraverso tali livelli di funzionamento sociale, significa attraversare delle interfacce, intese come passaggi da una qualità di potere all’altra: la stessa diagnosi contribuisce alla “ ridistribuzione del potere interno all’organizzazione o alla comunità in questione, mediante un equilibrio tra la concessione dall’alto e la conquista dal basso in una logica conflittuale cioè mai equilibrata e definita, ma sempre dinamicamente in conflitto”(Spaltro,1977, p. 6). L’interfaccia coppia-micro denominata interfaccia A rappresenta il passaggio dal comportamento individualistico a quello sociale, mentre l’interfaccia B, interfaccia micro-marco, determina una collettivizzazione ed è alla base della relazione organizzativa e politica. Spesso accompagnano tali passaggi delle pressioni, con conseguenti rigetti o progressi con occasioni di sviluppo.(12) La misura del clima organizzativo rappresenta un intervento conflittuale organizzativo, attivo a livello di interfaccia B, cioè tra piccolo gruppo e grande gruppo. Si tratta di un intervento conflittuale perché si basa su due tipi di conflitti: uno tra i vari protagonisti dell’organizzazione e uno tra l’organizzazione e gli esperti che fanno la diagnosi, sempre poco attesa e in contrasto con le percezioni e gli atteggiamenti ufficiali o medi dell’organizzazione (Spaltro e De Vito Piscicelli, 1998). Il passaggio attraverso questa interfaccia, presenta sintomi di resistenze e di rifiuto della relazione collettiva, sentita come minacciante e dispersiva per il gruppo che tende quindi a provocare il rifugio nella struttura più piccola (quella del gruppo, appunto). La coesione raggiunta con difficoltà attraverso un percorso di difese episodi e fenomeni, diviene a sua volta, punto di massima resistenza verso un ulteriore passaggio alla relazione organizzativa e politica (Spaltro, 2002).

Nel momento in cui la diagnosi di clima viene restituita a tutti i membri dell’organizzazione, attraverso la discussione dei risultati, il ricercatore può dover affrontare una serie di resistenze (gli alibi) basate sulla piacevolezza della dimensione gruppo raggiunta con fatica. Fra gli alibi si ricorda: l’alibi strutturalista, che tende ad allargare il campo di azione in modo che nessuna azione sia possibile: in questo modo risulta impossibile effettuare alcun cambiamento, senza cambiare l’intera struttura organizzativa. Può sì, riferirsi a reali condizioni, ma spesso viene utilizzato come motivazione per non agire (alibi, appunto).

l’alibi intimista, tende a portare qualsiasi fenomeno sul piano personale, rendendo la dimensione soggettivistica, quindi difficilmente apribile alla collettività. l’alibi tecnocratico, il cui pretesto si nasconde nella ricerca di alta competenza necessaria per effettuare anche il minimo cambiamento: si ritiene valido se dietro ad esso vi è una reale volontà di approfondimento tecnico della questione in esame, e non il desiderio di scaricare eventuali responsabilità verso altri.

l’alibi corporativistico che sfrutta l’immobilità del gruppo dal momento che ritiene possibile un cambiamento soltanto come fatto sociale: l’individuo si ritira dall’azione utilizzando come scudo il gruppo stesso. l’alibi del falso nemico poggia sulla concezione di cambiamento come conquista, quindi come lotta; in questo senso si dirige l’aggressività verso un falso obiettivo, verso la polarità cattiva, in modo da proteggere i reali ostacoli che impediscono il cambiamento (Spaltro e Pollina, 1975). Occorre quindi il superamento degli alibi, occorre cioè che si tenga conto della centralità e della complessità dei problemi del cambiamento e dell’ambivalenza costante dell’uomo nei confronti del cambiare, del conoscere, dell’intervenire (Spaltro, 1977). Per questo si è sottolineata l’importanza della fase del ritorno delle informazioni ai partecipanti: “*…+ la conoscenza del punto di vista altrui può favorire una presa di coscienza collettiva e la speranza di poter individuare dei percorsi comuni e realmente perseguibili per il miglioramento della qualità della vita organizzativa.”(Majer e Gazzaniga, 2003, p. 71).

Stesura del Report Finale

La stesura del report finale terrà conto di tutte le informazioni, quantitative e qualitative, raccolte nel corso della diagnosi di clima e, in particolare, di quanto emerso dalle riunioni con i diversi gruppi aziendali nel momento del feedback (Majer e Gazzaniga, 2003). Quest’ultimo passo, costituisce un momento importante in quanto fornisce la possibilità di trasformare la ricerca in un sistema di monitoraggio, in un osservatorio permanente del clima psicologico (Quaglino, 2002b; Majer e Gazzaniga, 2003). Il sistema di monitoraggio però non è più soltanto il questionario ormai consolidato e periodicamente somministrato, ma piuttosto è la logica dell’ascolto, dell’attenzione continua ad ogni evento, a ogni progetto che sia pensato per il cambiamento, al controllo del risvolto soggettivo/individuale, in modo che le politiche di management non portino ad una involuzione del clima organizzativo e ad una compromissione dei rapporti interpersonali (Quaglino, 2002b; Rubini, 2002).

 

Bibliografia

Abbey, A. e Dickson, J. W. (1983). R&D work climate and innovation in semi-conductors. Accademy of Management Journal, 26, 362-368.

Amovilli, L. (1995a). Psicologia pratica/clima: un’atmosfera creativa. Psicologia e Lavoro, 98, 40-45. De Vito Piscicelli, P. (1983). La misura del clima come indice dello sviluppo organizzativo. Psicologia

e Lavoro, 57/58, 139-146. DeJoy, D. M., Schaffer, B. S., Wilson, M. G., Vandenberg, R. J. e Butts, M. M. (2004). Creating safer

workplaces: assessing the determinants and role of safety climate. Journal of Safety Research, 35,

81-90. Kaneklin, C. (2002). Riorganizzare l’Università: questioni di metodo. In V. Majer, A. Marcato e A.

D’Amato (Eds.), La dimensione psicosociale del clima organizzativo (pp. 32-41). Milano: Franco

Angeli. Majer, V. e D’Amato, A. (2001b). Majer_D’Amato Organizational Questionnaire (M_DOQ). Padova:

Unipress. Majer, V. e Gazzaniga, M. (2003). Le fasi dell’analisi del clima. In V. Majer e G. Marocci (Eds.), Il

clima organizzativo (pp. 61-72). Roma: Carocci. Marocci, G. (2000). Inventare l’organizzazione. Roma: Edizioni Psicologia. Marocci, G. (2001). Diagnosi e intervento in psicologia del lavoro e dell’organizzazione. Risorsa

Uomo: Rivista di Psicologia del Lavoro e dell’Organizzazione, 8, 3-4, 351-360. Pierro, A. (1994). Percezione del supporto per le innovazioni nelle organizzazioni e reazioni al

cambiamento. Psicologia e Lavoro, 95, 17-24. Quaglino, G. P. (2001). Sfidare i climi organizzativi. In V. Majer e A. D’Amato (Eds.), Majer_D’Amato

Organizational Questionnaire (M_DOQ) (pp. I-XI). Padova: Unipress. Quaglino, G. P. (2002b). Motivazione, clima, soddisfazione: monitorare il cambiamento individuale

e organizzativo. In V. Majer, A. Marcato e A. D’Amato (Eds.), La dimensione psicosociale del clima

organizzativo (pp. 42-53). Milano: Franco Angeli. Scatolini, E. (2003). Che aria tira? Sereno o variabile tra gli sportelli di una banca. In V. Majer e G.

Marocci (Eds.), Il clima organizzativo (pp. 111-135). Roma: Carocci. Spaltro, E. (1977). Check up organizzativo. Milano: Isedi. Spaltro, E. (1995). Psicologia pratica/clima: che soddisfazione avete del vostro lavoro? Psicologia e

Lavoro, 96, 45-46. Spaltro, E. (2000). Psicologia pratica/clima: comunicazioni. Psicologia e Lavoro, 116, 51-52. Spaltro, E. (2002). Il gruppo come strumento diagnostico. In G. Trentini (Ed.), Manuale del colloquio

e dell’intervista (pp. 100-144). Torino: Utet. Spaltro, E. (2004). Il clima lavorativo. Milano: Franco Angeli. Spaltro, E. e Bernabei, G. (1987). Gli atteggiamenti del personale della Cooperativa Nordemilia.

Psicologia e Lavoro, 65, 7-16. Spaltro, E. e de Vito Piscicelli, P. (1998). Psicologia per le organizzazioni. Roma: Carocci editore.